Liberare le energie bloccate: politiche per una generazione invisibile


“Invece di premiarmi, mi penalizzarono. Avevo trovato il modo di studiare e fare ricerca, lavorare, creare valore. Ma per la norma ero fuori posto. E così lo Stato mi disse: fai meno!”

Questa frase potrebbe sintetizzare l’esperienza vissuta da C. 15 anni fa, all’inizio del suo dottorato di ricerca: dopo aver avviato un’attività professionale autonoma, pur restando in condizioni economiche modeste, gli venne revocata la borsa di studio. Per le norme, C. avrebbe dovuto sostenersi e sostenere l’attività di studio-ricerca con le poche risorse derivanti dai primi modesti guadagni di un’attività appena iniziata. Indipendentemente dai risultati, dalla capacità di tenere insieme il tutto senza che una sfera riducesse il livello di impegno nell’altra sfera. Quella che per C. rappresentava una conquista, costruire opportunità, veniva trattata quindi come una “colpa” e ciò lo segnò profondamente: “Mi aspettavo un premio, trovai una penalizzazione”.

“È da quel momento che ho capito quanto il nostro Paese fosse “poco allenato” a riconoscere e valorizzare l’iniziativa e la voglia di fare, di costruire valore. Soprattutto se viene da chi ha tra i 25 e i 40 anni, cioè dalle generazioni che maggiormente possono dare energia e innovazione per lo sviluppo della comunità”.

Se vogliamo spiegarci molto del fenomeno dell’emigrazione dei giovani da un Paese che li forma e poi li perde, partiamo da qui!

Una generazione da sbloccare

In Italia, le generazioni centrali – quei giovani-adulti che altrove trainano l’innovazione, la crescita, la democrazia – sono spesso invisibili nelle agende pubbliche. Non più “giovani da formare”, non ancora “adulti da proteggere”, rimangono sospesi in un limbo normativo e culturale.

Nel dopoguerra furono proprio queste generazioni a risollevare il Paese. Oggi, invece, sono bloccate da sistemi pensati per un’altra epoca. Sistemi che tutelano la rendita, premiano la posizione, scoraggiano l’iniziativa.

Abbiamo un paradosso: chiediamo innovazione e crescita, ma puniamo chi prova a generarle.

Il paradosso italiano

Il sistema fiscale, il welfare, le regole accademiche e professionali… tutto sembra dire: “fai una cosa alla volta, e non troppo.”

Eppure il mondo in cui viviamo ci chiede esattamente l’opposto: multidisciplinarietà, intraprendenza, adattabilità.
Lo Stato dovrebbe essere un alleato di chi sperimenta, crea, connette. E invece è spesso il primo ostacolo.

Pensiamo ai giovani che studiano e lavorano, che avviano un progetto imprenditoriale mentre si formano, o che si muovono tra il pubblico e il privato. Per la normativa, sono spesso “irregolari”, “incompatibili”, “non classificabili”.

Ma è proprio da questi incroci che nascono le soluzioni più innovative. È qui che vive il potenziale generativo del Paese.

Verso politiche pubbliche generative

C’è bisogno urgente di una visione nuova delle politiche giovanili, non più basata su bonus temporanei, ma su ecosistemi abilitanti. In tal senso, sono state molto appropriate le politiche realizzate in Puglia, ma non sufficienti. Occorre agire in modo strutturale a livello generale.

Serve uno Stato che:

  • riconosce il valore dell’iniziativa e non la penalizza;
  • premia la multifunzionalità: studiare e lavorare, formarsi e fare impresa, collaborare con il pubblico e il privato;
  • costruisce strumenti su misura per i 25-40enni: crediti d’imposta per chi investe nella propria formazione, microcredito agevolato e parte di fondo perduto per attività ad alto impatto sociale, incentivi fiscali per il co-working, il co-housing, i network professionali, politiche per coniugare l’impegno nella costruzione di una famiglia con il lavoro.

E, soprattutto, uno Stato che coinvolge direttamente queste generazioni nella progettazione delle politiche. Perché chi ha energie da sprigionare non vuole solo ricevere: vuole contribuire.

Per una Repubblica generativa

Il principio guida dovrebbe essere quello della generatività: la capacità di produrre valore condiviso, creare legami, dare futuro.

Liberare le energie dei giovani-adulti significa:

  • far crescere la produttività del Paese;
  • aumentare l’innovazione reale, quella che parte dai territori e dalle competenze diffuse;
  • ricostruire la fiducia nello Stato e nelle istituzioni;
  • in fondo, allenare una nuova idea di bene comune.

Per farlo servono regole nuove, ma soprattutto una cultura nuova. Una cultura che dica: “Se riesci a fare di più, il Paese è con te. Non contro di te.”

Liberare, moltiplicare, far accadere

Torniamo alla circostanza raccontata all’inizio.
In un Paese generativo, quella scelta non avrebbe portato a una penalizzazione. Al contrario: avrebbe meritato un premio, un “raddoppio”.

Una grande parte della missione dello Stato dovrebbe essere quella di far accadere le cose, non impedirle. Premiare l’approccio proattivo, lo spirito di iniziativa, l’intraprendenza, facilitare le connessioni, la cooperazione, liberare le energie. A partire dalla generazione che più di tutte può apportare una spinta propulsiva allo sviluppo inclusivo e sostenibile de, Paese.
Per il bene comune e per la pubblica felicità.

E tu? Qual è stata la tua esperienza con un sistema che premia l’attesa e penalizza l’iniziativa? Raccontala, perché condividendo le storie possiamo costruire politiche pubbliche davvero generative.


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