<<Dalla Bocconi i risultati di uno studio su 2.236 progetti. La causa: un approccio ancora troppo giuridico allo strumento>>.
[Articolo pubblicato su “Il Salentino” del 20/09/2009]
La realtà delle operazioni di Project Finance negli enti locali italiani è impietosa: si osserva, infatti, una mortalità di quasi il 90% di tali operazioni.
E’ il risultato fornito da una ricerca realizzata e pubblicata in un rapporto dell’OCAP (Osservatorio sul Cambiamento delle Amministrazioni Pubbliche) dal nome “Le operazioni di project finance: stato dell’arte e indicazioni per il futuro”, a cura del Prof. Fabio Amatucci e della Prof.ssa Veronica Vecchi (area Public Management and Policy – SDA Bocconi).
Il Project Finance, tradotto spesso in italiano con i termini “finanza di progetto”, è uno strumento impiegato per il finanziamento di opere pubbliche che già da molto tempo viene utilizzato in altri Paesi e la cui diffusione nelle Pubbliche Amministrazioni italiane è stata, in questi anni, notevole. Per fare un esempio, lo scorso anno si calcolava un totale di circa 80 operazioni per Aziende Ospedaliere e di circa 4.000 operazioni riguardanti enti locali.
Purtroppo, però, nonostante in sé lo strumento presenti tutte le caratteristiche affinché, se impiegato in modo coerente, nelle operazioni opportune e con tutte le analisi preliminari di cui necessita, possa essere considerato validissimo nel finanziamento (a impatto “zero” per le Amministrazioni Pubbliche) di opere che possono migliorare in modo sostanziale la qualità della vita dei cittadini, il 90% delle operazioni dell’ultimo triennio non ha trovato realizzazione.
Data la sempre maggiore scarsità di risorse finanziarie a disposizione degli enti locali e i vincoli stringenti del Patto di Stabilità (nato per arginare la crescita della spesa pubblica e garantire la compartecipazione degli enti territoriali agli equilibri generali di finanza pubblica), il Project Finance può rappresentare una leva molto valida per finanziare, mediante capitali privati, investimenti di certe dimensioni e con determinate caratteristiche. Il privato recupera, poi, i mezzi finanziari investiti mediante i ricavi e gli utili derivanti dalla gestione dell’opera (ad esempio, le tariffe di un parcheggio, i canoni di locazione di un edificio pubblico). Pertanto, perché l’operazione possa realizzarsi pienamente, è necessario che il progetto presenti una certa validità in termini economico-finanziari. Le opere per le quali si trova maggiore applicazione dello strumento sono: impianti sportivi, parcheggi, ospedali, cimiteri, edifici pubblici.
Alle motivazioni precedentemente espresse, si possono aggiungere ragioni di natura qualitativa dei progetti o, ancora, di riduzione dei tempi che vanno dalla progettazione al cantiere.
Dalla ricerca in questione, però, emerge il ritratto di una Pubblica Amministrazione ancorata a vecchi principi di gestione. Un approccio strategico-manageriale stenta ancora a diffondersi nei livelli direzionali degli enti locali italiani in favore di un più diffuso approccio giuridico-burocratico alle questioni, in questo caso agli strumenti di finanziamento.
Comprendiamo meglio queste affermazioni analizzando brevemente i dati presentati nella ricerca.
Una precisazione: le operazioni di Project Finance si suddividono in operazioni a iniziativa privata (il privato presenta la proposta di progetto per la realizzazione e successiva gestione dell’opera pubblica) e operazioni a iniziativa pubblica (l’ente presenta un progetto preliminare al quale il privato deve conformarsi).
La ricerca prende in esame le 2.236 operazioni avviate tra il 2005 e il 2008. Tra queste, solo 274 sono state aggiudicate. Il resto (circa il 90%, appunto) si è “perso” nelle fasi intermedie, comportando comunque il sostenimento di costi che si sono poi rivelati inutili, con evidente sperpero di denaro pubblico. Più della metà delle operazioni in esame riguardano iniziativa privata. Tra queste, soltanto il 9% aveva alla base uno studio di fattibilità realizzato dalla stazione appaltante (l’ente).
Tutte le operazioni non realizzate sono fallite perché presentano comprovate mancanze da parte delle relative Amministrazioni. Ne cito alcune. La ricerca dimostra come nella maggior parte dei casi si è trattato di scarsa verifica della pre-fattibilità, dei rischi e dell’impatto nel medio/lungo termine relativi al progetto. Un’altra grave mancanza è attribuibile alla mancanza di chiarezza da parte dell’ente, che ha comportato un’assenza di proposte dei promotori e, quindi, un fallimento dell’intera operazione. Ancora, va sottolineata una scadente programmazione delle finalità dell’investimento con riferimento al contesto territoriale.
Presentati questi dati della ricerca, possiamo riprendere il giudizio sulla questione ed affermare nuovamente e con maggior convinzione che negli enti locali italiani manca ancora un approccio manageriale (attenzione: non va identificato con “il far quadrare i conti!!”) alle politiche da intraprendere in favore delle comunità amministrate ed agli strumenti necessari per poterle realizzare.
Nel caso specifico risulta evidente, ma non si corre alcun rischio se si fa un tentativo di generalizzazione: gli strumenti di finanziamento, in particolare il Project Finance (ma si potrebbe fare l’esempio di tanti altri strumenti finanziari che si è cercato di introdurre negli ultimi anni nella P.A.), vengono ancora osservati e gestiti sottoforma di operazioni giuridiche, sotto l’aspetto puramente procedurale, trascurando gli aspetti e le valutazioni economiche essenziali per la loro validità. La speranza è che in futuro gli enti acquisiscano e impieghino sempre maggiori competenze in tali valutazioni. Anche perché, come affermano i due docenti della Bocconi a commento dei risultati, “l’approfondimento di tali aspetti darebbe maggior potere negoziale alle Amministrazioni Pubbliche nei confronti dei privati” e, dico io, in un momento in cui gli enti sembrano perdere credibilità ed autorevolezza nell’ambiente di riferimento, non è certamente un fatto trascurabile.