Le misure concordate dai leader europei del G20 nel vertice di Berlino di 4 giorni fa sono in parte da condividere. Infatti una maggiore regolamentazione dei mercati finanziari e, soprattutto, dei prodotti che in essi vengono negoziati (in particolare i c.d. “derivati”), è necessaria. Così come le altre misure che sono descritte nel video.
Però mi preme fare una considerazione. Più volte ho espresso il mio pensiero in merito, avrete capito come io non sia un grande sostenitore del sistema economico-finanziario che è andato sviluppandosi nei quindici-vent’anni passati. Nello stesso tempo, però, questo non vuol dire che non sia profondamente convinto dell’importanza della finanza e del mercato, intesi nelle loro accezioni generali. Il problema, però, è che nei decenni passati si è progressivamente dato vita ad un vortice che, sebbene abbia consentito alle economie di crescere (almeno, nella produzione e nel reddito complessivo, non mi soffermo in quest’articolo sull’iniquità della distribuzione di quel reddito o su altri variabili che reputo essenziali) con una rapidità e costanza senza precedenti nella storia, soprattutto ai Paesi già sviluppati ma non solo (sono tanti, infatti, i Paesi emergenti che sono cresciuti moltissimo), si è basato sempre più sull’aleatorietà dei prezzi di mercato e sull’affidarsi a questi per definire il valore patrimoniale di molti beni. Sia nel mercato immobiliare, sia nella valutazione dei patrimoni aziendali. Questo, per fortuna da un lato ma per sfortuna dall’altro, si è verificato soprattutto negli Stati Uniti. “Per sfortuna” in quanto quel mercato condiziona pesantemente, come abbiamo visto, l’andamento di tutti i mercati globali.
Paradossale, infatti, un’osservazione sulla quale raramente ci si sofferma: il “valore” dei mutui americani è pressoché “nullo”, le case americane hanno perso un terzo del loro “valore”, così come molti patrimoni aziendali e, quindi, bancari. Però, se ci pensiamo, i patrimoni, “i mattoni”, stanno tutti lì come prima.
In Italia la crisi sta avendo meno effetti sulle banche rispetto ad altri Paesi perché, come ho avuto modo di dire in altre sedi e in altri blog, esse hanno fortunatamente investito in titoli “fallimentari” una quota molto piccola, in percentuale, rispetto al proprio patrimonio. E’ questa, poi, la radice del problema americano. Semplificando al massimo, negli Stati Uniti molte banche hanno acquistato titoli rappresentativi dei famosi “mutui subprime” e altri derivati esponendosi per quote complessive pari a molte volte il loro capitale (tecnicamente, spesso hanno acquistato impiegando la cosiddetta “leva finanziaria“, che se ti va bene “sei ok”; se ti va male, sei “finito”!).
Quindi, assolutamente necessaria la regolamentazione (essa andrebbe indirizzata anche con l’obbligo, per le banche, di esporsi al massimo per delle quote predefinite rispetto al proprio capitale).
Ma è sufficiente per uscire dalla crisi?
Purtroppo, qui tutti dobbiamo ammetterlo con razionalità, se vogliamo ricostruire l’economia globale dobbiamo ricostruire il mercato finanziario. E allora servono:
– soluzioni per far tornare la fiducia e far rifiorire il mercato finanziario;
– un nuovo corso che faccia si che la finanza sia sempre più orientata allo sviluppo e non alla ricchezza fine a se stessa.
Per realizzare questi due obiettivi, oltre alla regolamentazione e alle proposte adottate si qui, occorre utilizzare “il bastone e la carota“. In che senso? Nel senso che occorre “prendere a calci” i manager, i tecnici e i politici responsabili a livello mondiale di questi disastri, perché le responsabilità (delle quali ho parlato in precedenti articoli) non vanno dimenticate. Nello stesso tempo, per far riprendere le banche e i mercati, adottare (o non adottare) soluzioni di questo tipo:
1) Assolutamente un “no” secco al protezionismo, soprattutto perché salvando (nel breve termine) un mercato, se ne ammazzano 100; inoltre, il protezionismo è, nella storia, sempre anticamera di guerre!
2) Assolutamente un “no” secco a pure e semplici nazionalizzazioni; non c’è da stupirsi se le borse mondiali hanno reagito malissimo alle nazionalizzazioni fin qui avvenute, negli USA come in Germania. I politici di questi Paesi si aspettavano risultati positivi, invece la situazione è peggiorata. Perché? Perché nazionalizzare, in questo momento, vuol dire acquistare le azioni delle banche al loro prezzo di mercato attuale, che è disastroso! Quindi, vuol dire annullare il “valore” dei capitali degli attuali azionisti.
3) Faccio mia la proposta di alcuni autorevoli economisti. Certamente occorre immettere liquidità nel sistema e la soluzione che gli Stati acquisiscano il capitale delle banche potrebbe andare bene, ma alla condizione che (come detto non sottoforma di semplici nazionalizzazioni) si acquistino le azioni ad un prezzo maggiore di quello attuale (ad esempio corrispondente a quello precedente il disastro dei mercati, ma comunque inferiore a quello medio “normale” di quei titoli relativo alla piena funzionalità dei mercati). Parallelamente, l’obbligo di riacquisto da parte degli azionisti nel momento in cui i prezzi saranno saliti di una certa percentuale al di sopra della soglia alla quale era avvenuto l’acquisto da parte degli Stati.
Questo “giochino finanziario” garantirebbe:
– Aumento di liquidità necessario.
– Aumento progressivo dei prezzi e quindi del valore patrimoniale delle imprese (più che altro, ritorno al valore “normale”), anche e soprattutto bancarie.
– Giovamento per tutti: gli azionisti recupereranno gran parte del capitale andato in fumo in questi mesi, gli Stati recupereranno le somme impiegate per l’acquisto delle azioni e, ancora di più, recupereranno ulteriori risorse dalla tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita delle azioni ad un prezzo maggiore rispetto al prezzo d’acquisto.
– Ripresa della fiducia degli investitori, dei risparmiatori (la fiducia è elemento essenziale!).
– Ripresa delle borse e dei mercati.
La speranza, ora, è nelle mani dei decisori a livello mondiale. Speriamo non si lascino sfuggire l’opportunità di risolvere la crisi con soluzioni difficili ma possibili. Ma occorre agire subito!
Bell’articolo Carlo!!
Io credo che il governo, sostanzialmente, con questi Tremonti Bond sta cercando di aiutare l’economia. Ci sono situazioni incontrollabili e molto difficili, tipo gli stabilimenti della Fiat uno fra tutti quello di Pomigliano. In questo caso sentivo proprio oggi che la domanda di preventivo di alcune auto è aumentata a gennaio e quindi la Fiat ha deciso che 4 su 5 stabilimenti chiusi con cassa integrazione, sono stati riaperti. Manca quello di Pomigliano, che purtroppo produce i modelli 147 e un altro dell’Alfa che non sono richiesti ultimamente. In quel caso il governo deve cercare un tavolo tecnico con la Fiat per incentivare una produzione anche a Pomigliano, partendo dal presupposto che non ci può essere una costrinzione.
Per quanto riguarda la banche anche io scongiuro una nazionalizzazione anche perchè, per il momento, non sembra il rimedio esatto.
Il problema di tutto questo è stato, a mio avviso, la globalizzazione. Io sono contro una globalizzazione sfrenata per due fatti: sia un fatto identitario (conservare le tradizioni, i valori ecc.) sia per un fatto economico.
In tutto questo l’UE ha messo il suo, visto che ha obbligato la libertà tra i paesi, permettendo la circolazione LIBERA di merci, di droga, di criminali.
Sono d’accordo, quindi, con le ultime mosse del governo per cercare di intervenire con la globalizzazione per mettere delle regole, atteso che è un pò troppo tardi per tornare ad una globalizzazione controllata in tutti gli aspetti.
C’è da dire che in Italia abbiamo delle produzioni che, messe al confronto di alcune concorrenze estere, in primis quella asiatica, fa veramente ridere. Come dire, non dico che sono per un’autarchia, ma anziché dare il pane ai giapponesi comprando Toyota, forse è il momento di aiutare gli operai della FIAT (seppur in tempi non sospetti ci sono stati governi che hanno dato ingenti quantitativi di denaro a tale azienda, finiti nelle tasche dei manager).
Un saluto
Errata corrige: quarto capoverso, 2 rigo, non “con la globalizzazione”, ma “sulla globalizzazione”.
Ciao Carlo, tutto ok?
Volevo un po’ – come dire? – iniettare dei dubbi sulla indispensabilità della “finanza” nei rapporti economici globali:
1) Ogni operazione sulle valute è ormai demagogica e scientificamente errata, considerato che l’emissione di moneta (potere un tempo statale/pubblico ed ora affidato a gruppi bancari privati come Fed, Bce, Bmi) ha ssunto livelli “virtuali” di creazione simili all’alchimia. Quando si approfondiranno ben benino i temi del Signoraggio bancario, della riserva frazionaria e del debito pubblico in rapporto alle banche centrali, allora si chiarirà tutto meglio;
2) in un’ottica microeconomica va smantellato il sistema dell’accesso al credito e della stessa “produzione” del credito, perchè – nonostante l’evidente e inevitabile fallimento recente – ancora non si è provveduto a correggerlo. Mi mantengo sul generale per evitare traumi troppo forti, ma è la realtà;
3) la stessa emissione enorme e inconsulta di valuta per “far respirare l’economia” di Obamaniano copyright (?) è di per sè un disastro mondiale, sia perchè tale mole di soldi non ha riscontri concreti e “basi reali” (come l’oro, ad e.), sia perchè è già stato fatto alcuni decenni fa dagli Usa, i quali hanno immesso nel mercato delle importazioni 800.000 miliardi di dollari senza base reale, che ora circolano nel mondo come epidemie inflattive: da quel momento gli americani sono diventati i primi consumatori al mondo di risorse comuni (che ora scarseggiano) e alla stesso tempo hanno esportato la loro inflazione;
4) bisogna tornare – secondo me – a legare la produzione industriale alla domanda reale, senza giocare con le borse e le speculazioni, altrimenti si rischia seriamente qualcosa di biblico; smantellare poi le politiche dei prezzi stabili e delle quote a livello “comunitario” o continentale; finirla di gravare sul bilancio degli Stati (intesi finalmente come comunità di individui) con attività industriali fallimentari, dirigenze criminali e ricatti occupazionali;
5) la Germania recentemente ha manifestato l’intenzione di nazionalizzare le banche in difficoltà per risanarle si, ma nelle mani della collettività, non degli stessi criminali che le hanno affossate; su questo sono in disaccordo con te, Carlo, perchè penso che se le borse reagiscono malissimo alle nazionalizzazioni bisogna pure vedere se il male sono le borse. O no?
In realtà potrebbero, come spesso è stato proposto, veramente abolire la borsa e tutto il sistema che si è retto su questa economia fittizia, fatta di percentuali e rendimenti, non di “Sistema economico” così come ce lo insegnano.
Sapete come viene definito un uomo come Enrico Mattei, oggi? Un “usurpatore del potere democratico del popolo”! Pensate che è stato il simbolo paradigmatico di come si fa “economia” in un’organizzazione sociale, in tutte le accezioni scolastiche o scientifiche del termine.
Un saluto
Giorgio
Ciao Giorgio! Tutt’ok, grazie! Un periodo molto intenso, ma alla fine tanta, tanta esperienza.
Conosco bene tutti i discorsi su Signoraggio, ecc., ma certamente non la vediamo allo stesso modo. Tuttavia ti dico che anch’io, come emerge dai miei articoli, sono fortemente critico nei confronti del sistema finanziario che è andato creandosi e infatti sostengo che il sistema creditizio si è spogliato della sua funzione di finanziatore di idee, di progetti, di sviluppo, per spostarsi nell’area puramente speculativa. Perciò anch’io desidero, come ho scritto, che la finanza venga, da ora, orientata verso lo sviluppo (l’economia reale, come giustamente l’hai definita tu) e non verso la ricchezza fine a se stessa.
Sul discorso della borsa, se ne potrebbe tranquillamente discutere. Il problema è che si pongono delle necessarie misure oggi, in un momento in cui esistono le borse, i mercati, ecc.
Quindi è ovvio che prima di ogni cosa, se non vogliamo che si verifichino carestie imminenti e ulteriori perdite di milioni di posti di lavoro, dobbiamo trovare soluzioni affinché questo sistema si riprenda. E in questo si inserisce la mia proposta.
La nazionalizzazione delle banche, se il capitale è stato pressoché azzerato dalla caduta dei mercati, significa acquistare a questo valore quasi nullo! Cioè, azzerare di fatto il valore delle azioni (sono miliardi di euro). Siccome non è credibile che gli Stati gestiscano a lungo diversi istituti bancari (ma te li immagini i governi italiani che cosa farebbero diventare queste eventuali banche di stato??!), essi li rivenderebbero ma a quel punto nella somma finale del gioco qualcuno ci ha perso pesantemente. E anche qualcosa come miliardi di euro.
Perciò la proposta (a somma maggiore di zero) che è comunque indirizzata a spostare per un periodo la proprietà allo Stato, ma acquistando ad un prezzo più alto di quello di mercato. Insomma, quella che ho descritto nell’articolo. E’ un’ipotesi molto concreta in Economia. Ma per ora nessuno la sta prendendo in considerazione. E i miliardi di euro continuano ad andare in fumo.
Ciao e grazie per i tuoi interventi sempre di qualità. A presto!
Se i governi (italiani o meno) fossero veramente incompetenti dal punto di vista finanziario/bancario, confermeresti tutte cose che ho detto circa la perdita (totale) degli stati di prerogative come organi supremi di decisione anche in campo economico globale oltre all’ovvio sistema nazionale; in qualche modo confermeresti gran parte di quello che ho detto prima. Con l’aggravante che si chiarirebbe ulteriormente il fatto che il sistema mondiale in mano a pochi gruppi bancari e finanziari privati prevale sugli Stati sovrani e ne condiziona (con regole ovviamente speculative e non “filantropiche”) il destino.
Io non posso immaginare che uno Stato non sappia DESIGNARE persone valide professionalmente e civicamente al suo interno per gestire, ad es., qualche istituto di credito truffaldino meglio dei predecessori privati. E non temporaneamente, come dici tu, ma regolarmente, applicando tutta la normativa attuale e cercando di svecchiarla per neutralizzarne gli effetti nell’avvenire. O dobbiamo aspettare altre crisi cicliche? Non si dice che si vuole “approfittare della crisi” per migliorare le regole e le strutture? Oppure sono solo parole e si cerca con vecchi metodi di rimettere in piedi un morto? Guardate che se lasciamo tutto come sta, non solo le crisi diverranno cicliche, ma forse non ci saranno più speranze.
Ti vorrei chiedere, infine, perchè ritieni ineluttabile il sistema attuale; non credi che il sistema in senso lato stia dimostrando l’artificiosità di chi insiste ad imporlo al pianeta come “unico sistema efficace”?
Se, ad es., osservi la crisi, condividi alcune misure-tampone, critichi il sistema ma ne avalli le sovrastrutture di fondo, non credi che la scelta di sostenere queste posizioni nella contingenza sia quantomeno poco lungimirante? Se tu avessi (mai sia, per carità!) l’AIDS a cosa ti servirebbe curare la febbre? A cosa serivrebbe affrontare singolarmente i sintomi? Il problema dei sistemi economici attuali è proprio di natura “immunitaria”, non si può chiudere gli occhi, incrociare le dita e sperare nei Tremonti bond…
Scusa, ancora: tornando al discorso sulle banche e i governi italiani, volevo specificare che io me li immagino gli istituti bancari in mano agli stati, certo. Finora, senza immaginazione, abbiamo notatro tutti cosa riescono a fare in questo settore i privati. Senza nessuna eccezione! Qui non c’è l’Istituto virtuoso e quello sfigato, come acade alcune volte per le Università, tutti hanno svolto le stesse progettualità e tutte hanno ottenuto gli stessi risultati.
Non vale la pena nemmeno citare le piccole banche cooperative locali o altri istituti che svolgono funzioni specifiche in campi diversi.
Veramente, non riesco a ritenere squalificati a priori tutti i governi italiani in campo bancario; come?
In tutti i settori, quando si è voluto, si è reclutato uomini, know how e mezzi, come mai in campo bancario/finanziario no? A ‘sto punto avrei fatto fare la legge 30 a noi altri, mica a Biagi e D’Antona!!!
Ciao Carlo, quando parlo di economia – materia dello Stato non intendo limitare il discorso alla “gestione dei servizi”, evidentemente – se mi esprimo in categorie macroeconomiche – parlo di organizzazione di tutti i rapporti economici nazionali e internazionali. E’ necessaria la stessa ridefinizione delle regole dei mercati, alternative a quelle che da Bretton-Woods ci hanno portati al Wto e nel 1995 nelle mani delle Banche.
La crisi attuale è un prodotto di “sistema”, non di singoli ed errati investimenti e programmazioni. Non è il prodotto di una episodica intrpretzione delle regole di mercato, è una malattia che attecchisce geneticamente su questo sistema.
Per quanto riguarda la presunta virtuosità del sistema di mercato in ordine alla creazione di ricchezza, è ovvio che il progresso scientifico (spesso pure avversato dal mercato) e tecnologico ci avrebbero comunque consentito di “evolverci” come pianeta e sono certo che il mercato abbia perfino rallentato e stoppato alcune volte il raggiungimento delle reali possibilità di migliorare la vita di tutti.
Non limito il discorso al “monopolio”, qui non è un’esasperzione nella creazione di cartelli, sia perchè non si parla di settori singoli ma del “settore” per eccelleza, sia perchè le prerogative delle banche continentali (Fed, Bce, etc.) sono ancora totalmente inconciliabili e autonome per molti aspetti, nonostante all’interno di Bmi e Fmi ci siano delle maggioanze ben definite. Tim e Vodafone possono fare un cartello sul mercato delle comunicazioni, ma come si può pensare di affrontare lo stesso discorso per la Banca Mondiale o per la Federal Reserve? O per l’Europa, l’Asia o gli Usa? Il discorso sul monopolio è inpropio, perchè si parla di economia tra stati e continenti, non tra gruppi industriali concorrenti.
Tu parli di liberalizzare ulteriormente l’economia mondiale perchè parti convinto che ci siano monopoli o cartelli, ma il fatto è che è già tutto liberalizzato da tempo; questo è un discorso che si può fare nel tessile, nel siderurgico, nel calzaturiero, mica per gli Stati? Mica gli Stati ragionano in termini di profitto o concorrenza? Specie nei loro consessi mondiali.
C’è un equivoco di fondo nel nostro “batti e ribatti”, ed è rappresentato dal fatto che io ritengo che debbano essere gli Stati (ossia i cittadini) a decidere e concordare le regole di convivenza e dei rapporti economici a tutti i livelli, che i rispettivi soggetti economici (imprese, società, coperative) poi andranno a rispettare nel concreto delle attività e degli scambi;
tu ritieni – tra le righe (visto che parli genericamente di “impegno pubblico nell’economia e “gestione dei servizi” soprattuto degli enti locali) – che il mercato debba continuare ad autoregolamentarsi (Wto), noncurante di quello che sta succedendo a causa di quasi 3 lustri di fallimenti nella globalizzazione dei mercati e rinfrancato dall’accainmento terapeutico con le solite risorse pubbliche. Il tutto asetticamente congelabile in un’analisi scientifica, ma concretamente devastante per la vita di milioni esseri umani molto lontani da plusvalenze, speculazioni ed estorsioni.
No, non ritengo che il mercato debba autoregolamentarsi in senso lato. Però vorrei che ricordassimo che il problema attuale della finanza deriva da un’errata regolamentazione da parte della politica statunitense (quindi dallo Stato).
Così come gli effetti della crisi del ’29 furono notevolmente aggravati dalla politica, dalla sbagliata regolamentazione voluta dal Presidente Hoover e dal suo staff, oltre che dalla maggioranza politica di allora.
Non è che regolamentazione da parte degli Stati significhi per forza cose buone. E non è che lo Stato che si occupi totalmente delle sorti dell’Economia offra garanzie di buona gestione e buoni risultati, finendo spesso nell’aumento esponenziale di debito pubblico che può sfociare nella bancarotta. Questo penso, ma non lo dico io, lo dice la storia. E lo dice l’attuale crisi.
Comunque non è come dici, cioè: tu ritieni anche che l’Economia debba essere “fatta” solo dallo Stato. Io invece penso che sia fondamentale il ruolo delle Autorità indipendenti, delle regole stabilite in base alla trasparenza, e indirizzate a garantire un normale gioco di mercato e garantire (ruolo dello Stato) anche alle persone di non uscirne, di non essere emarginate dal mercato stesso. In questo mercato può anche competere lo Stato, ma come attore alla pari di altri operatori. Ovviamente escluse alcune categorie di servizi che sono prerogativa dello Stato, perché è necessario che vengano erogati da esso.
Quello di oggi, spesso, non è mercato. E’ anarchia. Favorita dal legame tra lobby e politica.